LA VECCHIA PADOVA
curiosità stroriche padovane  1°

L'INFELICE PRIMA MOGLIE DI EZZELINO

Uno potrebbe chiedersi: ma queste donne padovane furono tutte disgraziate? Tu ci parlasti di una che morì ii giorno delle nozze, d'un'altra sgozzata da un pretendente respinto, d'una innocente pugnalata dall'amante geloso, d'una assassinata per interesse, ora ti accingi a parlare d'un'altra infelice. Rispondo che meditando sulle vicende umane tutti più o meno si comportano così. Soltanto i fatti rilevanti, soprattutto nel male, ci colpiscono, mentre quelli comuni, pacifici, passano inosservati come se non esistessero.
Fu detto «beati i popòli che non hanno storia ». Lo stesso si può dire dei singoli uomini. Apri un giornale e U9n trovi quasi altro che delitti e disgrazie.
Questo ben aveva compreso l'ambiziosissimo Erostrato, il quale per passare alla storia incendiò il tempio di Diariaad Efeso {una delle sette meraviglie del mondo di l' .allora). Era il 21 luglio del 356 avo Cristo, la stessa notte in cui nacque Alessandro Magno, altro uomo che per passare alla storia avrebbe messo a fuoco !'impero persiano. Parliamo ora di un povera donna che non cercò affatto di passare alla storia, ma viene ugualmente ricordata per le sventure che colpirono lei innocente.
Siamo nei primi anni del secolo XIII. Cecilia era l'unica figliola di Manfredo Maltraversi, ricchissimo conte di Baone, paese sui Colli Euganei, vicino ad Este. Sembrava che ravvenire le sorridesse: bella, ricca. Cosa poteva desiderare di più una fanciulla?
Eppure in questi due splendidi doni della sorte era la radice del suo triste destino. Suo padre morì lasciandola ancor giovane, sicché ella fu posta sotto la tutela d'un certo Spinabello, il quale non era né peggiore né migliore di tanti altri uomini.
Egli pensò di maritarla, traendone, senza danno per la fanciulla, qualche soldarello per sé (piccoli intrallazzi che si facevano ... in quei barbari tempi). Il lettore deve ammettere che questo affaruccio non era poi estremamente grave. Però anche quando la disonestà non è atroce può essere origine di gravissimo male, come ora vedremo.
Spinabello non trattò col primo venuto, anzi si rivolse ad una fra le più nobili e ricche famiglie padovane (famiglia che esiste ancor oggi nella nostra città).
Propose dunque la fanciulla come moglie per Gherardo Camposampiero, figlio del ricco feudatario Tisone (ricorderò tra parentesi che un Gherardo conte Camposampiero, avvocato, occupò importanti cariche pubbliche qui a Padova in questo dopo-guerra).
Naturalmente, come si usava ancora pochi decenni fa, non fece in modo che si conoscessero i due giovani, né fece parola al futuro sposo Gherardo, ma trattò col padre Tisone, chiedendogli in premio una somma di danaro.
Tisone si riservò di rispondergli, perché voleva consigliarsi con suo suocero Ezzelino II il Balbo, poi detto il Monaco. (Questo strano soprannome è dovuto aI fatto che egli nel 1221, stanco di lotte e di guerre, si fece frate e si ritirò in un convento dove morì nel 1235).
Moglie di Tisone, figlia del Balbo, era la famosa Cunizza da Romano (sorella quindi di Ezzelino III, il futuro tiranno di Padova). La fama di Curiizza è dovuta soprattutto al posto che Dante le diede in Paradiso (Canto IX. Terzo cielo o cielo di Venere, dove sono le anime che furono molto dedite all'amore, ma ebbero perdono da Dio).
Fra le a amicizie» di Cunizza vi fu anche quella del trovatore Sordello dei Visconti da Mantova (altro perso-o
naggio che Dante immortalò nel VI del Purgatorio dove . leggesi la grande, nobile invettiva del poeta:
.«a Ahi serva Italia, di dolore ostello».

Ezzelino il Balbo chiese tempo al genero per riflettere sulla cosa e dargli così un consiglio ponderato e saggio.
Era invece un'astuzia diabolica. Considerando che il matrimonio sarebbe stato vantaggioso per suo figlio Ezzelino III, chiamò Spinabello e gli offerse nientemeno che il doppio della somma promessa da Tisone purché, come tutore, desse il consenso alle nozze della bella Cecilia (e ricchissima) con suo figlio, invece che con suo nipote Gherardo Camposampiero.
Spinabello più sensibile ai soldi che all'onore (ma che gente, ripeto, esisteva a quei tempi!) si mise sUbito d'accordo e pochi giorni dopo furono celebrate a Bassano le sciagurate nozze. (Il paese di Romano, origine della famiglia degli Ezzelini dista solo qualche chilometro da Bassano ed oggi si chiama: Romano d.'Ezzelino). . Povera giovane, venduta come una mercanzia al migliore offerente. E, fatto ancora più tremendo, il primo peso della vendetta dei Camposampiero cadde proprio sul suo capo.
Una volta ella si recò, come soleva, a Baone per visitare i suoi campi. I Camposampiero che avevano spiato il giorno della sua venuta la fecero rapire e violentare da loro scherani e poi la rimandarono al marito EzzeIino, il quale non la volle più e la ripudiò. L'infelice visse poi una vita ritirata e onesta nel suo feudo di Baone.
Ezzelino però non rimase tranquillo: assalì d'improvviso un loro castello e vi catturò Guglielmo Camposampiero.
I padovani sdegnati marciarono verso Bassano, sotto la guida del loro podestà Stefano Badoero. Il vecchio Ezzelino il Balbo (vera causa prima di queste sciagure) considerato chele forze del figlio erano inferiori a quelle dei padovani lo consigliò di far pace a condizioni onorevoli per essi. Gli disse: «Accontentati per ora, ma col tempo tu diverrai, signore di Padova e potrai far vendetta a tuo piacere ».
E fu buon profeta, perché, pochi anni dopo, questo suo figlio, poi tanto più celebre del padre, divenne signore della città (ed anche di Verona e Vicenza, estendendo il proprio dominio su quasi tutto il Veneto).
Egli deve anche parte della sua fama a Dante che lo colloca nell'Inferno, primo girone del settimo cerchio tra i violenti contro il prossimo (canto XII, verso 109).
Curiosa sorte quella di Ezzelino il Balbo: avere due figli nella Divina Commedia; in Paradiso la già citata Cunizza, all'Inferno Ezzelino III. Nulla, già osservammo, è casuale nelle invenzioni dell'uomo, anche se totalmente fantastiche. Questi due figli collocati in vista nel poema di Dante dimostrano !'importanza che ebbe questa grande famiglia nella storia del suo tempo.
Quando Ezzelino entrò in Padova vi fece tremenda vendetta. Fra l'altro confiscò tutti i beni dei Camposampiero. Nel loro palazzo che ancora esiste in via Santa Lucia (detto casa di Ezzelino) andò addirittura ad abitare  egli stesso.
Ques'edificio risale quasi certamente al secolo XII, ma fu modificato più volte nelle varie epoche, finché da ultimo fu restaurato in modo serio e rispettoso.
Ricorderemo che sulla facciata, a destra del Volto del la Malvasia, trovasi una lapide in memoria del D.r Flavio Busonera impiccato per rappresaglia il 17 agosto 1944. (Quanti mai anni dopo Ezzelinol).
C'è poi in via Marsilio da Padova un'iscrizione, priva di fondamento storico: «Rispettarono i secoli -questo edificio da Ezzelino Balbo eretto circa 1160 ».
Dallo stile e dall'inesattezza mi viene il sospetto che sia di Carlo Leoni, famoso seminatore di lapidi «fantastiche » a Padova, come quella che mette Galileo Galilei a studiare le stelle sulla torre del Ponte Molino l'altra poco lontano dal ponte, prima di giungere alla Chiesa del Carmine, posta sul torrione detto pure di Ezzelino, .che ne aveva fatto un carcere. Sembra che sia una leggenda, ma il buon Leoni non si lasciò scappare l'occasione' e scrisse: «Mesto avanzo di nefanda tirannide -Ezzelino eresse -1250 D. Non si accorse il brav'uomo che la sua lapide sembra dire che Ezzelino eresse un mesto avanzo. ~ lo stesso errore che si trova nel famoso bollettino della Vittoria del 4 novembre 1918, emanato da Abano (dove, com'è noto, c'era il Comando supremo dell'esercito), lapidato in tanti posti: I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza D. (Sembra
~ 26 27
che quando discesero le valli fossero già dei resti). Si discusse molto su questa frase del bollettino.
Comunque son cose da poco: il senso resta chiaro lo stesso, e riprendiamo la vicenda della povera Cecilia.
Nel 1256 i profughi padovani guidati da Tiso da Camposampiero assalirono la città e ne cacciarono il tiranno. Sulla porta Altinate (quella che da Piazza Garibaldi immette in via Altinate) Ieggesi la solita lapide di Carlo Leoni: «Porta espugnata Ezzelino vinto».
Il vero cacciato non fu però Ezzelino in persona, ma un suo nipote, il podestà Ansedisio de' Guidotti, e i fuorusciti padovani non erano capeggiati da Tiso da Camposampiero (o almeno da lui solo), ma dall'arcivescovo di Ravenna Filippo Fontana.
Si osservi il frammischiarsi di leggenda e di storia in questi oscuri periodi. Dell'infelice Cecilia non si parla più (meglio cosl per lei). Mandiamole noi un mesto pensiero di simpatia.


    

PDF
 
TORNA TORNA